Raccontare è dimostrare



Ci sono persone che amano molto raccontare, tutto quello che vivono o che passa nella loro mente viene esternato e diventa una storiella, che abbia un senso o no. Queste persone decisamente non sono da prendere a esempio, quando vogliamo scrivere una storia, a prescindere dalla forma che scegliamo (racconto, romanzo, opera teatrale, fumetto, ecc.). Perché, se è vero che lo scopo principale del raccontare è quello di intrattenere, è anche vero che l'insieme di fatti che mettiamo uno in fila all'altro deve avere un senso, deve dimostrare qualcosa.

Poniamo il caso che io decida di raccontarvi di una mia passeggiata sulla spiaggia.
Potrei dirvi che sono arrivata all'alba, mi sono seduta su una barca, ho assistito al sorgere del sole, ho guardato i gabbiani che si posavano sulla riva e le barche all'orizzonte, ho incontrato un amico che portava a spasso il cane, poi sono andata con lui a mangiare del pesce arrosto, e così via. Probabilmente a metà della storia qualcuno si è già slogato la mandibola a furia di sbadigli, ma non è questo il punto. Il punto è che questa sequenza di fatti non porta da nessuna parte, non trasmette niente di specifico.

Potrei raccontarvi altri fatti. Arrivata alla spiaggia, mi sono tolta le scarpe e ho cominciato a camminare a piedi nudi sulla sabbia. La riva era piena di detriti portati dalle mareggiate, che nessuno si era preoccupato di rimuovere. C'era un gruppo di senzatetto accampati in un angolo, da un'altra parte un paio di loschi individui a bere birra, che si divertivano a gettare nel mare le bottiglie. Mi guardavano in modo strano, sono venuti verso di me, così ho cominciato a correre, ma il vetro di una bottiglia rotta mi ha ferito un piede e sono caduta... il resto immaginatelo. Magari anche questa sequenza di fatti non è interessante, però comunica qualcosa: la spiaggia può essere un brutto posto da frequentare per una donna sola.

Se invece mi ripromettessi di evocare qualcosa di romantico, potrei raccontarvi che sulla spiaggia ho incontrato un tipo che faceva footing, ci siamo messi a chiacchierare, abbiamo scoperto di avere tante cose in comune, il tempo è volato e abbiamo guardato il sole che tramontava tra le onde, con il vento tra i capelli, e così via. Anche in questo caso la sequenza di fatti raccontati (per quanto banale) sarebbe stata coerente con quello che mi riproponevo di comunicare.

Cosa voglio dimostrare?


Tutte le storie dovrebbero puntare a trasmettere qualcosa di preciso. La sequenza di fatti che raccontiamo non è fine a se stessa, ma finalizzata a dimostrare una specifica tesi. Nel mio secondo esempio, oltre a dimostrare che la spiaggia può essere un brutto posto, era anche insito un concetto più generale, e cioè che le persone non sono tutte brave persone.

Una qualsiasi storia, infatti, riflette una particolare visione della realtà. La prima storia non riflette nulla di particolare, forse solo che mi piace andare sulla spiaggia. La seconda rispecchia un modo cinico di vedere il mondo. Nella terza, invece, mi metto gli occhiali rosa e racconto tutto di conseguenza.

Purtroppo, rispondere alla domanda "cosa voglio dimostrare con questo romanzo", non è affatto facile come sembra. Anzi, difficilmente quando iniziamo a scrivere ce la poniamo. Spesso arriviamo fino all'ultimo capitolo senza sentire quest'esigenza. Qualche volta non ne abbiamo neppure bisogno, perché in modo conscio o inconscio sappiamo bene che tipo di messaggio stiamo trasmettendo e riusciamo a farlo nel migliore dei modi. Altre volte, invece, arriviamo alla conclusione senza aver mai centrato quello che ci eravamo riproposti. Forse avevamo persino una tesi che volevamo dimostrare, ma non abbiamo trovato il modo di farlo.

Coerenza


Affinché il messaggio arrivi, deve esistere una concordanza negli elementi che inseriamo nelle storie, altrimenti la dimostrazione viene a cadere. E questo è ancora più valido per il finale, che deve essere in totale armonia con il resto e deve in qualche modo convalidare la dimostrazione.

Per esempio, se terminassi la mia storiella numero tre (quella romantica) con il misterioso corridore che tira fuori un coltello svelando di essere un serial killer, verrebbe a cadere il messaggio "la spiaggia è un posto romantico". Lo stesso si potrebbe dire per la storiella due, se a un certo punto atterrasse un disco alieno sulla sabbia e venissi catturata nella navicella. Come minimo i lettori si chiederebbero che diavolo sto dicendo. Ovviamente, questi sono esempi estremi, perché si può rovinare tutto con molto meno.

La conclusione di una storia cambia completamente la percezione della storia stessa e dimostra cose diverse. Forse non esiste il finale perfetto, ma di certo bisogna stare attenti a cosa vogliamo trasmettere. Per esempio, se la storiella due terminasse con l'arrivo di un salvatore che si mette a tirare pugni e calci agli aggressori, mitigherei molto la visione negativa della realtà, con il sottinteso che non tutto il male viene per nuocere.

Concretezza


La dimostrazione è tanto forte quanto più concreto è ciò che mostriamo. Se nella seconda storiella avessi solo parlato di bottiglie rotte e del degrado sulla spiaggia, l'impressione sarebbe stata più morbida. Sicuramente raccontare un'aggressione ha un impatto diverso. Questo non vuol dire che bisogna essere sempre crudi, ma tener conto che un'idea astratta ha meno valore di un'immagine concreta.

Credibilità


La forza della dimostrazione è anche nella sua credibilità. Se sto scrivendo una storia di zombie (una cosa che non farei mai...), parto dal presupposto che essi esistano, ma il mio raccontare deve puntare a convincere chi legge. Dunque, devo offrire dimostrazioni servendomi di scene ed elementi che inducano il lettore a credere che sia proprio così: i zombie esistono! Beh, per lo meno per il tempo della lettura...

Raccontare con una tesi in testa


La tesi che è alla base della storia viene di solito definita nella scrittura creativa "premise" o premessa. Un concetto difficile da afferrare e che di solito viene totalmente ignorato da chi scrive. Ricordo di aver letto diversi manuali che ne parlavano e di averne sempre ricavato un'impressione di grande astrattezza, come se si trattasse di una qualche teoria che non mi riguardasse affatto. Una cosa vaga adatta alla letteratura impegnata. E invece non è così.
Anche una storiella molto poco impegnativa ha una sua "premise", che ce ne rendiamo conto o no.

Avere chiaro in mente qual è il senso del nostro raccontare può:
  • Aiutarci a focalizzare quali elementi inserire e quali ignorare.
  • Impostare le scene in modo che abbiano un maggiore valore dimostrativo.
  • Non scivolare nell'incoerenza.
  • Sapere dove vogliamo andare a parare e scegliere un finale adatto.

La mia esperienza


Ho cominciato a preoccuparmi di "cosa volevo dimostrare" con il mio secondo romanzo, dopo che mi è stato fatto notare (in modi diversi) dai miei lettori-cavie che la fine lasciava un po' perplessi. Questo ha messo in discussione quanto avevo scritto (o per lo meno una parte). Sono giunta alla conclusione che sia molto importante capire il prima possibile cosa vogliamo dimostrare con la nostra storia, perché conoscendo la risposta si può fare un lavoro migliore. 


E voi, sapere già cosa volete dimostrare con la vostra storia? Avete già inquadrato la "premise" o non vi siete mai posti il problema?


Hanno parlato di questo argomento anche:

• Tenar - L'anima della storia - Scrittevolezze
• Fantasy Eydor - Premise: l'anima della storia
• Rosalia Pucci - Premise... la parola misteriosa



Commenti

  1. Spesso si scrive perché in ciò che si è visto si è colto un senso od il sentore di qualcosa, quindi sebbene l'imposizione della dimostrazione per carattere mi risulta antipatica, comprendo bene cosa intendi con questo post.
    Tempo fa scrivevo in forma poetica o dei piccoli raccontini e forse inconsciamente ho sempre cercato di esprimere un qualche significato!
    Con il disegno è un po' più criptica la questione, perché non si hanno parole ma immagini e le immagini spesso sono più dirette ma anche più fraintendibili, quindi sto cercando di imparare a gestirle al meglio. ^^

    Ciao Anima!

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    1. Forse nel disegno il discorso è più immediato, perché il mostrare è come dici tu più diretto.
      Però non ho capito perché parli di "imposizione della dimostrazione", in che senso?
      Non penso ci sia nessuna imposizione. Quando raccontiamo non sempre siamo consapevoli di ciò che vogliamo dire con quella specifica storia. Ma saperlo aiuta molto, tutto qui.

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  2. Come spesso (sempre?) accade, quando si fa qualcosa, ci si fa prendere dalla smania di mettere la penna sul foglio e non si ragiona bene a monte sui perché e sui percome. Sarà che io sono un "architetto", ma senza premise non parto neppure. La questione che dovrebbe spingere ad interrogarsi su quale sia, comunque, è anche molto prosaica: se si intende andare a bussare alle porte di un editore, sarà la prima cosa che ci viene chiesta.

    PS: Bella la vignetta iniziale. Peccato che esistano, le banane rosse. Hanno un bel colore aranciato, proprio come il tramonto, e sono buone da morire: quelle gialle, che mangiamo qui, non sono che la brutta copia di una di quelle. :)

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    1. Caspita, non sapevo esistessero le banane rosse! Alla fine Sally ha sempre ragione :)
      Comunque, ti invidio (in senso buono), perché vorrei essere anche io un architetto e lavorare con una premise ben chiara. Invece con i tre romanzi scritti finora ho sempre scoperto solo alla fine quale tesi volevo dimostrare e devo ancora capire se sono riuscita a farlo. Spero che in futuro le cose vadano diversamente...

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    2. Le banane rosse sono buo-nis-si-me! :)
      Sul blog di Chiara qualcuno parlava del metodo "fiocco di neve": è davvero un bel sistema per riuscire ad avere chiari premise, storia e sinossi ancora prima di cominciare. Anche senza spingerlo così a fondo, si è obbligati a porsi molte domande; la conseguenza è che le riscritture, dopo, calano assai...

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    3. Grazie mille, adesso approfondisco :)
      Le riscritture sono il mio grande cruccio attualmente...

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  3. Dal basso della mia esperienza, quando inizio un racconto non so mai come lo chiuderò. È per me una scoperta, e se sapessi come finisce, non riuscirei a proseguire. Aggiungo che spesso i lettori trovano in quello che scrivi dei significati imprevisti e imprevedibili, ai quali non avevi nemmeno prestato la minima attenzione. Accade di rado, ma se succede c'è da esserne felici.

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    1. Forse il tuo modo di lavorare è più inconscio e in realtà sai dove stai andando a parare quando inizi a scrivere. Del resto le reazioni dei lettori secondo me sono un ottimo semaforo su questo.
      L'idea della scoperta comunque la condivido in pieno... anche per me è lo stesso.

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  4. cacchio...
    mi sa che qui la mia "narrativa alla cazzo" avrà una brutta batosta

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    1. ahaha! Sei un caso così disperato?! Della serie, racconti per raccontare?

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    2. "Narrativa alla cazzo"... che spettacolo!

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  5. Siccome io sono una bastian-contrario, ho la premise bella forte (c'era ancor prima di progettare la storia), ma sto ancora riflettendo su come esprimerla. La più grande difficoltà, per me, è nella selezione degli elementi. Credo che uno dei danni dell'infodump sia proprio togliere spazio a ciò che è veramente importante per la storia, impedendo al lettore di cogliere la premessa.
    Il finale? Di questo non abbiamo mai parlato. E spero di non aver bisogno di aiuto su questo, perché mi piacerebbe fartelo leggere invece che raccontartelo. :)

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    1. Sì, speriamo che almeno la sorpresa del finale me la lasci :D
      Comunque, sapere cosa vuoi dimostrare potrebbe esserti utile soprattutto per capire quali scene inserire. Se non sono attinenti alla premessa, vanno eliminate. Lo so, facile a dirsi... ma ne riparleremo senz'altro :)

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  6. Avevo sentito parlare della premessa o premise, ma non m'ero procurato di informarmi. Interessante. E devo dire che nel racconto che sto ultimando per il blog c'è, eccome. Me ne rendo conto ora che ho letto questo post: sto proprio dimostrando una mia tesi.
    Difficile, invece, tirare fuori una premessa nel romanzo. Dovrò ragionarci.

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    1. Con un romanzo è più difficile, è vero, perché ci sono tanti filoni, tanti eventi. Però sono ottimisticamente convinta che una volta capito il concetto, sia possibile applicarlo a tutto ciò che scriviamo.

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  7. Condivido in pieno quando dici:
    "Anzi, difficilmente quando iniziamo a scrivere ce la poniamo. Spesso arriviamo fino all'ultimo capitolo senza sentire quest'esigenza. Qualche volta non ne abbiamo neppure bisogno, perché in modo conscio o inconscio sappiamo bene che tipo di messaggio stiamo trasmettendo e riusciamo a farlo nel migliore dei modi. Altre volte, invece, arriviamo alla conclusione senza aver mai centrato quello che ci eravamo riproposti. Forse avevamo persino una tesi che volevamo dimostrare, ma non abbiamo trovato il modo di farlo."
    A me capita di iniziare a scrivere un racconto o una novella avendo in testa una premise assai generica. Mentre sviluppo la storia quel che mi preme davvero è rendere la narrazione densa, viva, corposa. É solo in fase di revisione che apporto delle modifiche per focalizzare la storia sulla premise, che a quel punto inizia a diventare meno vaga, più specifica. Ovviamente poi sorge il problema di non essere troppo esplicito, di mantenere il principio dello show don't tell, e lì onestamente non sono mai sicuro di essere sufficientemente bravo a trasmettere il messaggio della storia in modo da farlo percepire senza il bisogno di spiegazioni troppo dirette.
    Comunque difficilmente resto troppo sullo "show", qualcosa "tell" anche perché odio quegli autori che raccontano storie assurde senza fornire il minimo indizio sul messaggio che intendono trasmettere (ogni riferimento a un noto scrittore giapponese è puramente casuale ;-)

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    1. Interessante, non avevo pensato al problema di non rendere troppo esplicito il messaggio. Potrebbe essere fastidioso per chi legge, in effetti. Forse va trovato un equilibrio tra l'essere eccessivamente criptici e lo spiattellare la tesi. Poi gli autori davvero bravi riescono a trasmetterti qualcosa anche in modo ben nascosto, secondo me.

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  8. Finora mi è sempre capitato di accorgermi della premise dopo avere fatto il brainstorming, prima di iniziare a scrivere. Come dici tu, è utile capire che messaggio stai trasmettendo. Me ne accorgo, ne prendo atto, e poi me ne dimentico, almeno a livello cosciente. E' una sicurezza che la premise ci sia, ma non voglio usarla per scrivere la storia, che deve seguire una sua logica naturale.

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    1. Capisco quello che vuoi dire. Forse tenerla in eccessiva considerazione farebbe perdere quella spontaneità comunque necessaria quando si scrive. Si potrebbe cadere nell'eccesso opposto di chi racconta "tanto per farlo".

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  9. La premise è l'elefante rosa in mezzo alla stanza che continuo a raggirare fingendo che in questo modo si arriverà a una soluzione che non richieda il mio attivo coinvolgimento.
    Ci sono talmente tante domande nella mia testa che non riesco a partire, figuriamoci arrivare, da nessuna parte. Ogni giorno penso di aver risolto un pezzetto del puzzle, ogni giorno mi ritrovo daccapo. Continuo a leggere libri su libri sperando di trarne ispirazione ma l'unico consiglio che ne ricavo è "non pubblicare finché non sai scrivere meglio di così" o "non pubblicare perché non saprai mai scrivere così bene". o.O

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    1. Eppure vedere l'elefante rosa ti renderebbe molto serena. Io ho sempre detestato questo concetto della premise, finché ho capito che usarlo mi rendeva tutto più facile.

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  10. Vediamo se riesco a spiegarmi.
    Io diffido molto dei "racconti a tesi", delle narrazioni che vogliono dimostrare qualcosa. Secondo me l'anima della storia è piuttosto una domanda aperta, sia per l'autore che per il lettore. La domanda deve essere chiara, la risposta no. "Una spiaggia può essere un brutto posto per una donna sola" è una tesi da dimostrare da cui uscirà un racconto a tesi, in cui si evince che sì, una spiaggia può essere un brutto posto per una donna. "Una spiaggia può essere un brutto posto per una donna sola?" è un'anima narrativa da cui può uscire un racconto di cui tutti sono d'accordo che è centrale l'eventuale pericolosità di una spiaggia per una donna sola, ma personaggi diversi all'interno della storia e lettori diversi al di fuori potranno arrivare a risposte diverse.
    È sono una mia opinione fallace, ma, secondo me nel secondo caso uscirà un racconto più interessante.
    Proprio oggi, senza aver letto il post, discutevo sul fatto che "I promessi sposi" sia più debole di altri coevi grandi romanzi per essere un "racconto a tesi" in cui più che porre un interrogativo morale si vuole dimostrare la tesi "la Divina Provvidenza agisce nella storia".
    In questo caso ne esce una sorta di "morale della favola" che porta a un'inevitabile semplificazione del reale, piuttosto che quell'indagine senza preconcetti del chiaroscuro che è propria della letteratura.
    Non so se mi sono spiegata. Nella mia testa tutto ciò è piuttosto importante, ma oggettivamente non saprei dire se sia una differenza importante a prescindere o solo per il mio modo di intendere la narrativa. Tuttavia nel mio modo di intendere la letteratura, che non voglio imporre a nessuno, se voglio dimostrare una tesi scrivo un saggio, se voglio esplorare un problema scrivo narrativa. La differenza sta tutta tra il punto fermo e quello di domanda.

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    1. Quando parlavo di tesi non intendevo una morale, infatti è un termine che ho evitato accuratamente. Anche tesi può suonare ambiguo come concetto, per questo ho preferito parlare di dimostrazione.
      Io penso che anche se non ti proponi di dimostrare qualcosa, in realtà tu lo faccia comunque quando scrivi una storia. Che lo si voglia o no, con quello che mostri al lettore trasmetti qualcosa, fosse anche un dubbio. La dimostrazione può essere anche finalizzata a suscitare una domanda e a non fornire nessuna risposta, ma resta comunque una dimostrazione, in quanto scegli specifiche eventi e specifiche scene. Poi il lettore è libero di interpretare, ma resta il fatto che tu hai fatto una scelta sulla base di qualcosa che ritieni essere il senso della storia.

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  11. Mi sembrano anche queste ottime riflessioni.

    Mi viene in mente un episodio della serie "ai confini della realtà" in cui viene scoperto un "mondo" al di là di una parete invisibile. Lo scienziato che guida i “nostri” osserva una piccola famigliola che si muove e veste nello stile "La casa della prateria". A furia di guardare s’innamora di una bella e dolce fanciulla dall'aria romantica e malinconica che siede sola e triste fissando il nulla.
    Dopo molti vani tentativi scopre che la parete invisibile, se viene ripetutamente battuta con un sasso, scompare per pochi secondi e può essere transitabile. E sfruttando questo varco passa dall'altra parte.
    I suoi amici lo vedono camminare nella prateria, mentre gli "altri" gli corrono incontro sorpresi e felici. In particolare la ragazza sorride e solca l'erba con gioia, tendendogli le braccia. Finché la sua bocca si dilata e mostruosi denti da squalo dilaniano il povero scienziato. E tutti gli "altri" partecipano al banchetto.

    In un racconto breve quindi l'incoerenza tra la prima parte e la conclusione possono essere proprio la chiave della storia.

    Ad ogni modo concordo sul fatto che debba esserci una coerenza di massima della conclusione. In effetti, nella storia sopra raccontata la fine non coincide con la morte dello scienziato. L'ultima scena mostra il bambino degli "altri" che batte incessantemente sulla parete invisibile in attesa che si apra, utilizzando come martello un femore dello scienziato...

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    1. Mi piaceva molto quella serie, anche se quest'episodio non lo ricordo :)
      Trovare un finale coerente a volte è una sfida, io litigo ancora molto con le mie conclusioni. Spesso mi capita anche di restare delusa o perplessa di fronte a certi finali scelti dagli autori di romanzi o film, proprio perché la penso come te: il finale è la chiave della storia.

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  12. Non saprei, forse sono solo due sfaccettature diverse per vedere la stessa cosa. D'istinto associare la parola tesi alla narrazione mi suona male. Forse sono solo affezionata all'idea di Eco che un romanzo debba essere una macchina per costruire interpretazioni.

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    1. Io penso infatti che alla fine le nostre posizioni non sono in contrasto. E sì, la parola tesi è fastidiosa, per quello che evoca :)
      "Costruire interpretazioni" è un bel concetto, approfondirò.

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  13. Si, nel mio romanzo la premise è stata subito chiara: ho voluto dimostrare qualcosa, forse più a me stessa, immaginando un luogo che vorrei esistesse sul serio, pur evidenziandone i limiti. E' stato un modo per raccontare una piccola - alcune piccole verità - della mia vita e credo di averlo fatto con coerenza e senza perdere di vista la credibilità. Perché tutto ciò che hai evidenziato è vero e corretto: ogni scena descritta ha il dovere di mostrare e dimostrare qualcosa.

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    1. Quando si hanno le idee chiare, tutto scivola molto meglio. Si accende una luce e vediamo subito l'intero quadro di ciò che vogliamo dire. A me è successo poche volte, ma riconosco che è una bella sensazione :)
      Hai già finito il tuo romanzo o lo stai ancora scrivendo?

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    2. Parlo del romanzo con cui ho partecipato ad un concorso che, poi, ho vinto: l'oggetto di tanti miei interventi su promozione e pubblicazione. Una storia lunga, una bella esperienza di cui vado molto fiera. :)

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  14. Il romanzo che ho in mente è di genere sentimentale è ha la pretesa di mostrare l'amore dagli occhi di un uomo, cioè di cosa un uomo pensa quando si parla di amore. Naturalmente scritto da me, cioè da un uomo, e questo elimina gli stereotipi delle tante scrittrici di romanzi rosa... Può andare, che dici? ;)

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    1. E io che speravo di leggere il tuo thriller... ma quanto mi farai aspettare se ora ti metti a scrivere romanzi sentimentali?!

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    2. Potresti iniziare da Umane deviazioni... in fondo non era altro che "un sacco di gente morta per mano di altra gente che tanto, prima o poi, morirà comunque". Alla fine, tutti questi morti, risultano un po' noiosi. E poi posso sempre convertirti al romanzo rosa, che ne pensi? :P

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  15. Strano a dirsi, spengo ogni forma di ragionamento quando comincio a scrivere. Anzi, mi apro completamente alle ambiguità, alle incongruenze. Voglio che la storia "si porti in giro da sola" sospinta da un vento che non è quello della mia coscienza. A viaggio finito, cerco di interpretare quello che la storia mi sta dicendo, nel modo più chiaro possibile, ma senza cancellare affatto l'ambiguità. Le due storielle incongruenti che hai raccontato mi hanno lasciata disorientata: per me hanno completamente senso :D la spiaggia degradata che si conclude con un viaggio in altri mondi sconosciuti mi è sembrata una idea surreale piena di speranza, e la seconda sembra l'intro di Sin City! Che dici, ho problemi psicologici?

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    1. Ormai mi sono convinta che ci sono persone che hanno bisogno di affrontare la scrittura armate di razionalità, altre che devono lasciarsi andare come fai tu. Personalmente sono sempre il bilico tra i due approcci, perché fanno parte entrambi del mio modo di essere.
      Però mi piace molto il tuo modo di pensare "libero".
      Sì, forse le due storielle incongruenti potrebbero avere un loro "perché" se considerate in un certo modo, ovvero se l'elemento incongruente è l'inizio di qualcosa (tipo l'accesso a altra realtà), e non la conclusione della storia. Non so se sono riuscita a spiegarmi e se ho capito quello che volevi dire...

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    2. Penso proprio che gli scrittori "architetti" se la vedano meglio dal punto di vista strutturale. Il mio modo di scrivere mi obbliga a tornare indietro e fare luuunghe riparazioni sulla coerenza complessiva della storia. Forse la coerenza dev'essere prima di tutto negli occhi di chi scrive, e può essere infusa nel testo attraverso lo stile, il punto di vista della voce narrante, i dettagli su cui si posa ecc. ecc. Penso che se lo scrittore per primo non ha le idee chiare, la storia possa perdere senso e logica anche con una vicenda tutto sommato plausibile.

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  16. Prima di scrivere rifletto molto sulle dinamiche della trama, e sono attento alle tre C (Coerenza, Concretezza, Credibilità), invece la tesi e la dimostrazione sono una componente inconscia e forse potrebbero non essere così evidenti nelle mie storie ma sono certo che ci sono, perché ho in mente dove voglio arrivare e la scrittura tende verso quell'obiettivo.

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    1. Ho l'impressione che la tua attenzione alle tre C ti faccia in qualche modo da faro lungo la strada. Magari come dici la tesi resta inconscia, ma sicuramente c'è qualcosa alla base, altrimenti non potresti essere coerente, concreto e credibile :)

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  17. Ciao Maria Teresa, ti seguo con interesse ma posto poco, almeno rispetto ad altri blog. Da te infatti scompare sempre il mio nick di accesso e spesso mi dimentico di fare copia-incolla prima di cliccare su pubblica. E questo è fatale... perché mi trovo dentro, ma è scomparso il post :/ Consigli a riguardo?
    Mi piace come scrivi e trovo molto utili i tuoi consigli. Da questo post, tra l'altro, ho finalmente capito la differenza tra sinossi, prologo, premise e retroscena. Almeno credo :-)
    Una domanda? Mettiamo che uno a caso ^^ si trovi per uno scherzo del destino a vivere in tempo reale e in prima persona una situazione choc, quasi surreale, con risvolti thriller e dall'esito più che incerto e che questi ami leggere e scrivere. Allo stesso tempo però fa fatica a scrivere d'altro perché risulta esserci un pò Impantanato, o anche immerso fino al collo. Mi consiglieresti di scrivere quel che viene a mo di diario, caratterizzando situazioNi e personaggi, anche se riSchio magari di introvertirmi, o di andare direttamente a una trasposizione romanzata della cosa? O tutte e due?
    adesso copio... promesso. Grazie a tutti per il contributo. Aloha ^^

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    1. Ciao Enrico, mi fa piacere "rivederti".
      Non so da cosa possa dipendere il problema con i commenti, ma è capitato anche a me con altri blog su blogger, ti consiglio di ricaricare la pagina prima di scrivere il commento, perché probabilmente resta in memoria la pagina non collegata al tuo account.

      Riguardo a quello che mi chiedi, io prenderei subito le distanze con una "trasposizione romanzata" come la chiami, perché quando si comincia a scrivere, le cose si fissano molto più di quanto pensi e quando poi le vai a riprendere potresti restare impantanato in ciò che hai già buttato giù. A meno che poi tu non voglia davvero scrivere tutto sotto forma di diario.
      Spero di essermi spiegata e di aver bene inteso il tuo dubbio. Ciao :)

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    2. Sì Maria Teresa. Risposta chiarissima ^^
      Ho subito contattato il mio esorcista personale ed è in viaggio. Gli ho detto che si tratta di una brutta gatta da pelare. Mi sembrava divertito :-)
      grazie che ci sei. ciao ^^

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